Cronaca

Migranti, tribunale conferma dissequestro Open Arms: "Libia non è porto sicuro, non si può rimandarli indietro"

I giudici del Riesame di Ragusa mettono in discussione la prassi seguita dalla Guardia costiera italiana che cede il coordinamento delle operazioni di soccorso in mare

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"La Libia non è un approdo sicuro quale delineato dal diritto internazionale". E' una affermazione secca quella con la quale il tribunale del Riesame di Ragusa ha rigettato il ricorso della Procura contro il dissequestro della nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms al centro di un'inchiesta per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina per essersi rifiutata di consegnare ad una motovedetta libica i migranti salvati durante un soccorso in mare.

Un pronunciamento, quello dei giudici di Ragusa, che mina fortemente i presupposti in base ai quali, come da prassi in voga ormai da settimane, la sala operativa della Guardia costiera italiana cede il coordinamento delle operazioni di soccorso ai libici consentendo loro di riportare indietro migliaia di migranti e ordina alle navi umanitarie di fermarsi e di lasciare che la guardia costiera di Tripoli prenda a bordo uomini, donne e bambini destinati a tornare nei centri di detenzione dove le condizioni sono disumane.

"Decisamente importante l'affermazione per la quale allo stato non esiste in Libia un porto sicuro secondo le regole che qualificano questa nozione nel diritto internazionale, cioè un posto nel quale i migranti non siano esposti a trattamenti inumani e degradanti - sottolineano gli avvocati della Open Arms, Lo Faso e Gamberini - Ora sarà la centrale operativa di Roma che dovrà spiegare perché impone un coordinamento libico dei soccorsi e la riconsegna ai libici dei migranti in queste condizioni, una condotta questa sì illegittima...".

Il Tribunale del Riesame di Ragusa presieduto da Vincenzo Panebianco non ha dunque condiviso l'impostazione della Procura che aveva sostenuto che non vi fosse prova della "'non sicurezza" degli approdi libici e che il comandante della Open Arms aveva rifiutato di chiedere approdo a Malta. Per i giudici del Riesame, "il ricorrere di un approdo sicuro in Libia, quale delineato dal Diritto internazionale, risulta smentito da fatti notori richiamati perfino in atti ufficiali del Senato della Repubblica", per il persistere in territorio libico di un quadro politico incerto e conflittuale.

Non sarebbe ravvisabile, secondo i giudici del Riesame, alcun comportamento che possa prefigurare un accordo tra organizzazione, probabilmente libica, di trafficanti di esseri umani e la Open Arms. Lo stesso pubblico ministero riferisce che la nave della ong spagnola era stata contattata dalla centrale operativa di Roma e le era stato richiesto di recarsi sul luogo per valutare la situazione.
Nonostante la successiva presa in carico dell'intervento da parte delle autorità libiche, la ong spagnola avrebbe prestato soccorso seguendo obblighi normativi ed umanitari, e avrebbe costantemente mantenuto il dialogo con le autorità italiane.  Le lance della Open Arms avrebbero raggiunto in particolare un gommone per mettere in sicurezza le persone a bordo lanciando i giubbotti di salvataggio. E all'arrivo della motovedetta libica lo stesso gommone si era diretto verso gli spagnoli rendendo "necessario" per l'equipaggio della Open Arms, il loro salvataggio. In merito alle minacce, nave Alpino capta la conversazione tra la motovedetta libica e la nave della ong spagnola: l'equipaggio libico intima alla Open Arms di non intervenire paventando l'impiego di armi. Secondo i giudici del Riesame, non sarebbe evidenziabile un rifiuto del comandante a contattare Malta se non la convinzione che Malta avrebbe negato l'approdo per prassi consolidata. Il Tribunale quindi rigetta il ricorso e conferma il dissequestro