10 maggio 2019 - 07:41

Treviso, le ragazzine sullo scuolabus: «I negri non si siedono qui». E il bimbo scoppia a piangere

Le adolescenti: «Siamo state fraintese». Il sindaco: «Chiederanno scusa»

di Andrea Priante

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TREVISO La provincia veneta non è l’Alabama. Ma ci sono volte in cui perfino gli autobus di una cittadina del Trevigiano possono riportare alla memoria quelli che circolavano per gli Stati Uniti a metà degli anni Cinquanta: da una parte i bianchi, dall’altra gli afroamericani.

I fatti e lo sfogo social di una madre

È accaduto mercoledì mattina in un piccolo paese - che non riveliamo per tutelare i piccoli protagonisti della vicenda - quando due ragazzine hanno impedito a un bimbo di undici anni di sedersi all’interno dello scuolabus. A svelare questa storia di razzismo è stata la mamma del bambino (una trevigiana, mentre il papà è senegalese) in un lungo messaggio pubblicato sulla pagina Facebook «Cara Italia», che promuove l’integrazione: «Mio figlio è stato bullizzato sul pulmino della scuola. Oltre ad averlo malmenato, una delle ragazzine gli ha detto: “I negri si siedono davanti, i bianchi dietro”. Mi ha raccontato di non essersi difeso per non passare dalla parte del torto».

Le due «bulle»

Si tratta di due adolescenti (la posizione di una terza è ancora da chiarire) di terza media. Quando l’undicenne è salito sul bus, l’autista l’ha invitato a lasciare i sedili anteriori ai bimbi delle elementari. Ma gli ultimi posti, come spiega la mamma, sono quelli «Vip», i più ambiti dagli studenti. Due erano liberi. Quando si è avvicinato, una scolara gli ha però intimato di non sedersi. Poi quella frase terribile, con l’ordine di occupare i posti anteriori per via del colore della sua pelle. Quando, un paio di fermate dopo, sullo scuolabus è salita l’amica della prima ragazzina, il bambino è stato schiaffeggiato e spinto verso lo sportello, fino doversi inginocchiarsi a terra.

La disperazione della vittima

«Qualcuno - racconta la donna alCorriere del Veneto- ha provato a dire “basta” ma non è servito. Per fortuna la scuola non era molto lontana. Mio figlio è arrivato in classe molto turbato, si è messo a piangere e ha raccontato ciò che era accaduto agli insegnanti, ricevendo la solidarietà di tutti». Ed è qui che si innesca la seconda parte della storia, che fa da contraltare al disgusto per quella frase razzista. Il dirigente scolastico, dopo aver accertato i fatti, ha invitato gli insegnanti ad affrontare in classe il tema della discriminazione. «Nel pomeriggio sono stata contattata dall’assessore all’istruzione del Comune, perché una cosa così grave non era mai accaduta», spiega la mamma.

Intervento del sindaco (e dei vigili)

«La sera stessa ne abbiamo discusso - conferma il sindaco - scegliendo di intervenire subito, perché non si ripetano mai più episodi del genere. Non si tratta di impartire alle studentesse una punizione fine a se stessa, ma di fare in modo che comprendano quanto profondamente sbagliato sia il loro comportamento e i motivi che l’hanno ispirato». Per dare un segnale più incisivo, ieri mattina sul pulmino è salito anche il comandante dei vigili urbani che ha percorso l’intero tragitto. «Ho avuto l’impressione che tutti i ragazzini sapessero perfettamente perché mi trovavo lì», racconta.

Lo studio di Rosa Parks

Ieri sera il sindaco ha incontrato le ragazzine e i loro genitori. «Hanno negato di aver pronunciato quella frase con intenti razzisti - spiega il primo cittadino - giustificandosi con il fatto che in questi giorni stanno studiando la storia di Rosa Parks, che negli anni Cinquanta si rifiutò di cedere il posto a una passeggera bianca, su un autobus degli Stati Uniti. Impossibile sapere se davvero si sia trattato di un grande fraintendimento, ma di certo si sono impegnate a chiedere scusa allo studente per come l’hanno fatto sentire». La madre del bambino non vuole sporgere denuncia: «La reazione della comunità è stata immediata e dimostra che è giusto avere fiducia nelle istituzioni. Spero che quelle ragazzine capiscano che, per non perdere l’opportunità di vedere la bellezza nel mondo, devono iniziare ad aprire gli occhi».

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