8 marzo 2020 - 15:37

Coronavirus, rivolte nelle carceri: tre morti a Modena, due agenti in ostaggio a Pavia

Paura del contagio e restrizioni provocano proteste nelle carceri: detenuti in rivolta a anche a Napoli, Salerno e Frosinone

di Giovanni Bianconi

Coronavirus, rivolte nelle carceri: tre morti a Modena, due agenti in ostaggio a Pavia
shadow

Nella rivolta delle carceri contro la sospensione dei colloqui per l’emergenza coronavirus si consuma il dramma di tre detenuti morti e un ferito grave nel penitenziario di Modena, dove fino a sera è andata in scena la protesta più grave e violenta. E a Pavia due agenti sono stati sequestrati e poi liberati (il procuratore aggiunto Mario Venditti ha fatto da mediatore: «Nessun atto di violenza, nessun sequestro»). Nella notte una cinquantina di reclusi era ancora sui tetti, dove venivano appiccati fuochi alimentati con ogni tipo di materiale.

In Emilia i reclusi hanno cominciato a protestare nel primo pomeriggio, occupando l’istituto e costringendo una ventina tra agenti e addetti all’assistenza sanitaria ad abbandonare il proprio posto. Due agenti sono rimasti leggermente feriti. Per fermare incendi e devastazioni sono arrivati poliziotti e carabinieri armati di manganelli e scudi, fino all’irruzione decisa per mettere fine alla sollevazione. Alla fine degli scontri e dei disordini sono state contate tre vittime, tutte straniere. Secondo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, però, i decessi non sarebbero collegati all’irruzioni ma ad overdose di oppioidi o altre sostanze di cui avrebbero fatto incetta nell’assalto all’infermeria. Oppure a inalazioni di fumo. «Chiediamo indagini rapide — dice il presidente dell’associazione Antigone Patrizio Gonnella —. Temevamo che la tensione stesse crescendo, e che ciò potesse portare a delle tragedie». Le colonne di fumo di Modena, insieme a quelle che si sono levate anche da altri istituti, sono il segnale di sommosse contagiose seguite all’annuncio dell’interruzione delle visite dall’esterno. Alle quali il ministero della Giustizia ha risposto chiarendo che l’interruzione dei colloqui «a vista» con i parenti è stata decisa solo fino al 22 marzo. Due settimane (e non tre mesi, come sembrava), nelle quali gli istituti dovrebbero attrezzarsi per assicurare che le visite possano riprendere rispettando le precauzioni prescritte dalle nuove norme per contrastare il diffondersi del coronavirus: distanza di due metri tra le persone. Nel frattempo gli incontri potranno essere sostituiti con conversazioni via Skype, o da un maggior numero di telefonate.

Ad avviare le proteste erano stati sabato i reclusi di Salerno, che hanno semi-distrutto la prigione. Celle e spazi comuni sono stati devastati finché la sommossa s’è spenta, prima dell’intervento delle forze di polizia. I rivoltosi hanno consegnato un documento nel quale si fa esplicito riferimento al divieto delle visite, e ieri la contestazione s’è allargata agli altri istituti. Dove le condizioni di sovraffollamento sono già critiche e mal si conciliano con le prescrizioni antivirus: 61.230 persone ristrette al 29 febbraio 2020, a fronte di 50.951 posti (teorici, perché alcune migliaia sono indisponibili).

Da Salerno la protesta è arrivata a Modena. E quasi in contemporanea a Frosinone, dove 96 reclusi si sono asserragliati provocando incendi e altri danni; hanno chiesto l’intervento del Garante regionale, Stefano Anastasia che insieme al Provveditore ha condotto la trattativa. Oltre ai colloqui sospesi, la protesta riguardava il sovraffollamento, la fatiscenza delle strutture e l’assistenza sanitaria giudicata inadeguata.

A Napoli, nel pomeriggio, in decine sono saliti sul tetto di Poggioreale, mentre in strada i parenti bloccavano il traffico. I sindacati di polizia penitenziaria hanno denunciato analoghe proteste ad Alessandria, Foggia e Vercelli e Palermo. Inevitabile la polemica politica, con Matteo Salvini che incita a «dare poteri emergenziali ai comandanti di reparto». Il Pd ribatte denunciando la «irresponsabilità» del leader leghista che «getta benzina sul fuoco», al contrario del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che non replica all’ex collega di governo e preferisce ringraziare direttori, provveditori e agenti «che in un momento di particolare difficoltà per il Paese sono impegnati ad assicurare la sicurezza e la salute di chi vive e lavora nei penitenziari».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT