Iran, la moglie di un impiccato: «Accusato di legami con Israele. Nessun processo, solo torture. Con la guerra a Gaza molte più esecuzioni: più di 80 in un mese»

di Greta Privitera

Joanna Taimsi è curda, ha 21 anni e sognava una vita, una famiglia con Mohsen Mazloum, uno dei quattro ragazzi giustiziati il 29 gennaio. «Non hanno avuto un processo ma solo torture: che il mondo sappia. Continuiamo a lottare per la libertà»

Iran, la moglie di un impiccato: «Accusato di legami con Israele. Nessun processo, solo torture. Con la guerra a Gaza molte più esecuzioni: più di 80 in un mese»

Se lui non le avesse lasciato queste parole «Amore mio, ti amo. In questi 19 mesi di carcere e tortura ho pensato solo a te, cerca di essere libera», Joanna Taimsi dice che non ce l’avrebbe fatta. Che sarebbe morta di dolore, che non avrebbe trovato nessuna forza per tornare a camminare, mangiare, parlare. Ma Mohsen Mazloum, curdo, 30 anni, prima di essere impiccato con altri tre uomini il 29 gennaio scorso nella prigione di Ghezel Hesar, nella città di Karaj, ha consegnato il suo testamento d’amore al fratello, perché Joanna sapesse il suo ultimo desiderio: che lei fosse libera.
Nel mese di gennaio, la Repubblica islamica ha eseguito oltre 80 condanne a morte: una donna e il resto uomini quasi tutti appartenenti alle minoranze dei curdi e dei baluci. «Mentre gli occhi del mondo sono puntati sul disastro di Gaza , gli ayatollah ci ammazzano. Da quando è iniziata la guerra la Repubblica Islamica ha impiccato 359 prigionieri», dice Joanna Taimsi, 21 anni, moglie di Mazloum.
Nel 2019 è scappata da Kamyaran, una città del Kurdistan iraniano, a Erbil, in Iraq dove si è unita al partito Komala, di ispirazione socialdemocratica. Taimisi parla come una saggia combattente che ha ben chiaro il suo destino di donna-curda-laica ai tempi del regime teocratico. Si fa fatica a ricordare che in fondo è poco più di una bambina. I suoi 21 anni si rivelano solo quando racconta dell’amore per Mohsen.

Perché è stato impiccato?
«A metà luglio del 2022, Mohsen è tornato nel Kurdistan iraniano con altri tre compagni del partito. Erano disarmati: da dieci anni Komala ha cessato ogni attività militare. Sono stati accusati di voler colpire un centro industriale della città di  Isfahan, per volontà del Mossad. Una menzogna: erano tornati in Iran per svolgere attività civili. Il partito ha respinto le accuse ma non è bastato».

Quando è stata l’ultima volta che ha parlato con suo marito?
«La mattina prima che partisse per l’Iran. In questi 19 mesi di carcere non ho mai più avuto nessun contatto con lui. Tre mesi dopo l’arresto la televisione di stato iraniana ha diffuso un video dove Mohsen e gli altri quattro compagni confessavano di essere agenti dell’intelligence israeliana, di essere stati addestrati in Botswana e in Sudafrica. Sono stati costretti a dire di aver incontrato il capo del Mossad, David Barneae. Tutto falso, ovviamente».

Una confessione estorta.
«Bastava guardare i loro volti per capire le torture fisiche e psicologiche che hanno subito».

Hanno avuto un processo?
«No, hanno incontrato il giudice solo per due minuti, senza un avvocato. Gli ha chiesto il loro nome e gli ha detto “aspettatevi di morire”. Non sono state presentate prove che potessero confermare legami con Israele, niente di niente. Poi li hanno uccisi».

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Mohsen Mazloum e Joanna Taimsi

Ha saputo come Mazloum ha vissuto questi mesi di detenzione?
«Lo hanno potuto vedere solo la madre, il padre e il fratello. Mohshen ha voluto che gli amici, i compagni di lotta sapessero che in questi 19 mesi di torture non si è mai pentito di aver combattuto per la fine della teocrazia, ha chiesto a tutti noi di portare avanti la rivoluzione per un Iran libero, democratico e giusto per le donne».

Con la guerra a Gaza le impiccagioni sono molto aumentate. C’è un accanimento verso le minoranze?
«Sì, aggiungerei un accanimento senza precedenti sui curdi e sui baluci. C’è un disegno preciso di sterminio e punizione della nostra gente perché siamo i più attivi nella rivoluzione. Il mio partito così come altri, tra cui il Partito Democratico del Kurdistan iraniano, da più di 40 anni siamo i motori del cambiamento, incitiamo al rovesciamento della Repubblica Islamica. È chiaro che agli ayatollah non piacciono i nostri desideri di libertà e ci vogliono fermare a tutti costi».

La vice dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Nada al-Nashif, è appena stata in Iran. Un buon segno?
«Dipende. Una visita ufficiale delle Nazioni Unite legittima il regime che avrà raccontato le sue menzogne. Non ha indossato il velo mentre stringeva le mani dei boia? È andata a visitare le carceri? Ha parlato con i prigionieri politici? In Iran ogni giorno ci sono proteste e scioperi per le fame per i condannati a morte. Ha visitato le famiglie delle vittime del movimento Donna Vita Libertà? Se non ha fatto tutto questo la sua visita è un insulto al popolo iraniano che da un anno e mezzo si batte per la libertà».

Perché lei si trova in Iraq?
«A quindici anni sono scappata dal villaggio in cui vivevo nel Kurdistan iraniano, perché volevano costringermi a sposare un ragazzo che non amavo, molto religioso. Non ho il passaporto e sono venuta qui con l’aiuto dei trafficanti».

Si sente sicura a Erbil, nonostante gli ultimi attacchi del regime?
«Siamo abituati. Da sempre la Repubblica Islamica compie omicidi e bombardamenti qui. A volte penso che vorrei andarmene, anche in Europa, ma non ho il passaporto, pensare di rimettermi nelle mani dei trafficanti mi fa paura».

Quando ha incontrato Mohsen?
«Avevo 16 anni. L’ho visto per la prima volta nella sede del partito. Era bellissimo, è stato un colpo di fulmine. Ho fatto una cosa inusuale: gli ho mandato un messaggio e gli ho detto “Mohsen, tu mi piaci”. Lui era più grande, mi ha scritto dobbiamo aspettare che tu diventi maggiorenne. Gli ho fatto la proposta di matrimonio, e ha risposto “sì”».

Come sta?
«Ripenso sempre alle sue parole che mi danno sempre forza. Mohsen era un uomo buono e generoso. Pensavo che saremmo stati insieme per sempre, che avremmo avuto dei bambini. Oggi sarebbe stato il suo compleanno, avrebbe compiuto 31 anni. Lo festeggio lo stesso, come se lui fosse ancora qui».

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Joanna Taimsi mentre festeggia da sola il compleanno del marito appena impiccato


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6 febbraio 2024 (modifica il 6 febbraio 2024 | 11:12)